Da Nosedo all'Acquabella (parte I)

A cura della Fondazione Milano Policroma
Testo di Riccardo Tammaro

Nei secoli passati raggiungere uno di questi estremi partendo dall’altro non era per nulla compito facile: per avere una strada di congiunzione occorre infatti attendere il ventennio fascista, e più precisamente gli anni ’30 del ventesimo secolo, con il piano Albertini del 1934, che disegna questa serie di viali. E proprio questa origine relativamente recente fa di questo itinerario un campionario di edilizia del ventesimo secolo, che andremo a sottolineare in questi articoli.
Ai nostri giorni è possibile percorrere tutto l’itinerario con il filobus numero 93, che ha il capolinea sud proprio nella recente rotonda costruita a lato del vecchio borgo di Nosedo, e giunge fino a due passi da piazzale Susa, ove sorgeva il bivio Acquabella delle ferrovie, che a sua volta prendeva il nome dalle vicine cascine.
Partendo da Nosedo possiamo allora subito apprezzare la larghezza del viale Omero ed il suo ampio parterre, attrezzato a verde con una pista ciclabile alquanto recente, nonchè gli edifici che si affacciano su di esso. In particolare, sulla destra andando verso nord, e quindi ad est, si trova il quartiere Omero, costruito tra il 1949 e il 1955 su progetto di Irenio Diotallevi e Domingo Pochettino; le palazzine hanno un numero limitato di piani, ed all'interno si aprono ampi spazi verdi.
Dalla parte opposta si trova il quartiere Mazzini, originariamente noto come quartiere Regina Elena; esso fu costruito tra il 1925 e il 1931 su progetto di Giovanni Broglio, e poi completato sul viale Omero da edifici più recenti, risalenti agli anni '50 del ventesimo secolo.

La figura di Giovanni Broglio è molto importante per l'edilizia popolare milanese, e ritorna più volte anche in questo itinerario. Egli fu dal 1914 il Direttore dell'Ufficio Tecnico dell'Istituto Case Popolari, e mise mano a moltissime edificazioni milanesi del ventesimo secolo. Detto "l'architetto dei poveri" e poi medaglia d'oro del Comune, a lui si deve il progetto, datato febbraio 1905, del quartiere modello dell'Umanitaria in via Solari, per cui aveva voluto un tipo di edilizia economica decisamente all’avanguardia (case di tre o quattro piani, appartamenti dotati di una propria entrata diretta con servizi igienici, acqua corrente potabile, gas, un condotto per le immondizie e nessun passaggio comune, per non offendere “i pudori, le dignità, le miserie individuali e familiari”, secondo le parole del tempo).
Ritornando al nostro itinerario, al termine del viale Omero ci attende il Santuario Europeo di San Michele Arcangelo e Santa Rita, a cui ho già dedicato un articolo a suo tempo, per cui mi limito a ricordare che fu progettato e realizzato nel 1933 dall'architetto Felice Pasquè, e che al suo interno si trova, tra le altre opere d'arte, un affresco risalente al tardo Trecento.

Proseguendo il nostro cammino attraversiamo il piazzale Gabrio Rosa nella sua ampia aiuola centrale, e sulla destra ci ritroviamo il quartiere Gabrio Rosa, realizzato tra il 1950 e il 1952 sulla via Barzoni e progettato da Arrigo Arrighetti; a questo punto percorriamo il viale Enrico Martini, sul cui lato pari, al civico 4, si trova un impianto di sollevamento dell'acquedotto detto "Centrale di pompaggio Martini", risalente al 1930 e tuttora in funzione.
L’area occupata dal complesso ha la forma di un trapezio rettangolo disposto parallelamente al viale Martini, su cui si affaccia; gli altri tre lati, delimitati da un alto muro, confinano con aree residenziali. L’accesso pedonale è costituito dal portone al centro dell’edificio, mentre l’accesso carraio dà adito ad un piccolo e stretto cortile ingentilito da aiuole disposte lungo il muro di cinta. L’edificio, con pianta rettangolare, include, al suo interno, tutte le funzioni necessarie: sala pompaggio, vasca di accumulo e appartamento del custode. L’ingresso, sottolineato da due gradini e dalla cornice della porta in pietra di color grigio, è sormontato da un frontone rettangolare che ospita l’insegna a rilievo dell’acquedotto; sopra il numero civico, a destra, si trova lo stemma del Comune di Milano. L’apparato decorativo è limitato all’alto zoccolo, costituito da una striscia di graniglia di cemento e da una cornice a rilievo che collega i davanzali delle finestre.
La Centrale Martini è entrata in funzione il 4 luglio 1930 ed ha subito un intervento di ristrutturazione nel 1981. Nell’impianto sono in funzione 15 pozzi che estraggono l’acqua dalla falda acquifera a 12 metri sotto il livello del suolo, con una portata media di circa 480 litri al secondo; la vasca del serbatoio, di dimensioni ridotte a 255 metri cubi, serve principalmente a decantare la sabbia che viene estratta. La centrale serve per integrare i momenti di maggior consumo della zona sudorientale di Milano, rimanendo ferma durante la notte e nelle ore di minor consumo.
A questo punto interrompiamo la nostra passeggiata, che riprenderemo nel prossimo articolo a partire da questo preciso punto.